I bambini, le loro mamme e gli strumenti del diritto

Gilda Ferrando

Professoressa Ordinaria di Diritto Privato, Università di Genova

(Contributo pubblicato on line first)

Abstract

L’Autrice analizza la questione della tutela dei figli delle coppie arcobaleno riflettendo sugli istituti dell’adozione e della trascrizione degli atti di nascita stranieri alla luce della recente giurisprudenza in materia.

The Author analyses the issue relating the child protection within the rainbow families illustrating adoption and the birth certificates registration in light of the recent case-law on the topic.

Sommario

1. Premessa. – 2. L’adozione e i suoi limiti. – 3. Trascrizione di atti di nascita stranieri e ordine pubblico. – 4. Il consenso come fondamento dello stato di figlio nato da PMA. – 5. Segue. Il caso della doppia maternità.

Il diritto all’identità di genere inizia al liceo. Una riflessione sul caso Joel Doe et Al. v. Boyertown Areas School District at Al.

Michele Di Bari

Dottore di ricerca, Università degli studi di Padova

(Contributo pubblicato on line first, sottoposto a referaggio a doppio cieco)

Abstract

Il presente contributo affronta il tema dell’identità di genere nella sua dimensione più delicata, quella del riconoscimento e dell’integrazione sociale. In particolare, viene esaminato un caso statunitense – Joel Doe et Al. v. Boyertown Areas School District at Al– al fine di comprendere come la realtà transgendermetta in discussione la tradizionale distinzione binaria tra «maschio» e «femmina» fin dall’età adolescenziale. Il legislatore e le istituzioni pubbliche in generale si ritrovano dunque a dover scegliere quale modello adottare: un modello tradizionale e chiuso rispetto alle diversitàdi genere – come richiesto dai ricorrenti – oppure un modello inclusivo che permetta di superare il limite del sesso di nascita in ragione di un corretto sviluppo psicofisico del minore transgender. In questa analisi, lo scopo è (come spesso accade nel contesto degli studi di diritto comparato) di richiamare l’attenzione del giurista e del legislatore nazionale su un tema che potrebbe irrompere prima o poi anche nel nostro ordinamento, cercando di fornire una chiave di lettura che sembra rispondere in modo bilanciato all’esigenza di tutelare tutti gli interessi in gioco.

This article deals with the issue of gender identity in its “social dimension”. In particular, an American case is analyzed – Joel Doe et Al. V. Boyertown Areas School District at Al – in order to understand how issues related to being a transgender can challenge the traditional binary distinction between “male” and “female” since the high school. Thus, both the legislator, and public institutions should choose which model is better fitting for minors: a traditional and binary model – as requested by the applicants – or an inclusive model that allows to overcome a rigid identification of «sex» established at birth, favoring a correct psychophysical development of transgender minors. In this analysis, the aim – as it often happens in the context of compara-tive law studies – is to draw the attention of legal scholars and the legislator on a topic that could – sooner or later – burst into even in our legal system, providing a reading key that seems to be able to balance properly all the interests at stake.

Sommario

Premessa: un approccio «down to earth» per tutelare minori in divenire – 2. Il caso di fronte al giudice distrettuale – 3. Il caso di fronte alla Corte d’appello Federale – 4. Il mancato hearing di fronte alla Corte Suprema – 5. Riflessioni conclusive.

L’obbligo di riconoscimento della genitorialità intenzionale tra diritto interno e CEDU: Riflessioni a partire dal primo parere consultivo della Corte Edu su GPA e trascrizioni

Anna Maria Lecis Cocco Ortu

Dottoressa di ricerca abilitata alle funzioni di professore associato in Francia, CDPC-J.-C. Escarras, Università di Tolone, Aix-Marseille Univ., Univ. de Pau, CNRS, DICE.

(Contributo pubblicato on line first, sottoposto a referaggio a doppio cieco)

Abstract

A partire da un esame del caso francese e del parere consultivo della Corte Edu in materia di rico-noscimento del legame di filiazione tra il figlio nato all’estero da GPA e il genitore intenzionale, il contributo analizza gli obblighi derivanti dall’art. 8 CEDU e le modalità di esecuzione degli stessi. In particolare, confrontando le soluzioni della trascrizione e dell’adozione prospettate dalla Corte di Strasburgo, solleva dei dubbi sull’adeguatezza delle discipline francese e italiana sull’adozione rispetto alle condizioni di effettività e celerità poste dal parere.

Starting from the French case and the opinion issued by the European Court of Human Rights on the recognition of the filiation with the intended parent in case of surrogacy, this paper analyses the obligations stated by article 8 ECHR and their enforcement tools. In particular, comparing the two solutions identified by the Court of Strasbourg (i.e. adoption and the transcription of birth certificate), it analyses the French and Italian systems in light of the effectiveness and promptness needs as they have been identified in the above-mentioned opinion.

Sommario

Introduzione – 2. La lunga battaglia giudiziaria della famiglia Mennesson, tra evoluzioni giuri-sprudenziali e riforme legislative Cedu-orientate – 3. Il parere della Corte: la CEDU impone l’obbligo di riconoscimento del legame di filiazione col genitore intenzionale, sì ma come? – 3.1. La conferma dell’interesse superiore del minore come principio preminente – 3.2. Il manteni-mento della primauté della genitorialità biologica – 3.3. Dall’an al quomodo, o della variabilità del margine di apprezzamento anche su “un aspetto essenziale dell’identità” – 4. Considerazioni sulle modalità di esecuzione dell’obbligo e sull’inadeguatezza dell’adozione, anche alla luce degli effetti de facto generali della pronuncia – 4.1. Le conseguenze per la Francia: dopo tante bocciature, una promozione con riserva – 4.2. Le conseguenze per l’Italia: la pronuncia intempestiva delle Sezioni Unite della Cassazione e l’inadeguatezza dell’adozione in casi particolari

International Classification of Diseases (ICD-11). Sexual disorder chapter’ rephrase: the transgender Issue

Benedetta Cappiello

Assegnista di ricerca in Diritto internazionale, Università degli studi di Milano

(Contributo pubblicato on line first, sottoposto a referaggio a doppio cieco, destinato a GenIUS 2019-1)

Abstract

La tendenza a creare sistemi di catalogazione ha coinvolto anche il campo medico. La prima classificazione delle malattie risale al 1893 e dalla seconda metà del ‘900 l’Organizzazione mondiale della Sanità ha ricevuto il compito di tenerla aggiornarla. Prima “del come” (catalogare) occorre però decidere “il cosa” e ciò merita attenzione qualora si tratti di aspetti legati alla sfera sessuale. Si tratta infatti di una scelta non solo giuridica, ma anche sociologica e politica. Con specifico riguardo a questo aspetto, la riformulazione dell’ICD è interessante poiché include i transgender nel capitolo sui disturbi sessuali non più in quello delle malattie mentali. La decisione arriva al termine di un lungo processo che ha coinvolto le Istituzioni, internazionali ed europee, in uno alle corti di giustizia, e merita di essere scrutinato, in particolare per le conseguenze che potranno derivarne.

The trend to shape system of cataloging, universally recognized, has also involved medical field. The first diseases’ classification dates back to 1893 and in the second half of 20th century the World Health Organization received the task of keeping it up to date. Before dealing with the “how” (to catalog) it is necessary to decide the “what” and this aspect deserves particular attention when it concerns sexual related aspects. These latter require not only a juridical choice, but also a sociological and political one. In this regard, ICD’ rephrase is interesting because it has qualified transgender’ issue as a sexual disorder, thus excluding it from chapter on mental illnesses. This decision comes at the end of a long process that has involved Institutions, international and European, and courts and it deserves to be scrutinized, in particular for the consequences that may trigger with it..

Sommario

Introduction; – 2. ICD in a nutshell; – 3. Sexual Disorders Chapter’ rephrase: the international perspective; -4. …: the EU perspective; – 5. Sexual Disorders chapter’ rephrase: possible impacts on understanding transgender’ issue.

Libertà religiosa e divieto di discriminazione in base all’orientamento sessuale: alcune riflessioni a partire dalle pronunce sull’obiezione del pasticciere

Angioletta Sperti

Professoressa Associata di Diritto Pubblico Comparato, Università degli Studi di Pisa

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco, pubblicato online first, destinato a GenIUS 2019-1)

Abstract

Sul caso dell’obiezione di coscienza del pasticciere e, in particolare, sul bilanciamento tra libertà religiosa e di espressione e divieto di discriminazione in base all’orientamento sessuale, si sono recentemente pronunciate sia la Corte Suprema degli Stati Uniti (caso Masterpiece) che la Corte Suprema inglese (caso Lee). Lo scritto ripercorre le due pronunce dimostrando come, nonostante alcune differenze tra le vicende oggetto dei due giudizi, le istanze di obiezione di coscienza avanzate dai pasticcieri sollevino questioni di legittimità costituzionale sostanzialmente affini. Lo scritto esamina, dunque, le implicazioni delle conclusioni raggiunte delle due corti, anche al di là degli ordinamenti in cui esse sono state pronunciate, evidenziando le conseguenze che il riconoscimento di una religious exemption generalizzata e un uso strumentale della libertà di espressione potrebbero produrre sulla dignità delle persone e la garanzia del divieto di discriminazione.

Two recent rulings of the Supreme Court of the United States (Masterpiece)and Supreme Court of England and Wales (Lee)have addressed the conflict between freedoms of religion and expression and the principle of nondiscrimination on the ground of sexual orientation. The article examines the two cases in order to emphasize that, despite some differences between the facts, they rise the same basic constitutional questions. The article deeply analyses the conclusions the two Courts have reached, arguing that a general recognition of religious exemption and an instrumental use of freedom of expression can deeply affect the dignity of minorities and the guarantee of nondiscrimination.

Sommario

1. Premessa. – 2. Il caso Masterpiece Cakeshopdella Corte Suprema degli Stati Uniti. – 3. La sentenza Leedella Corte Suprema inglese. – 4. Due casi analoghi o diversi? – 5. Dignità umana ed impatto sociale delle disparità di trattamento nell’accesso a beni e servizi. – 6. Osservazioni conclusive

When victims of domestic violence are migrants or minorities: women at intersection in Europe

Maryset Mango

University of Milan, and Legal Protection Officer

(Contributo pubblicato on line first, sottoposto a referaggio a doppio cieco)

Abstract

Essere donne e allo stesso tempo appartenere a un contesto culturale extra-europeo o a una minoranza culturale rende più vulnerabili le vittime di violenza domestica. Partendo dallo studio di Kimberlè Crenshaw sulle donne Afro-Americane vittime di abusi domestici, si dimostrerà come la prospettiva intersezionale applicata ai casi di donne migranti o appartenenti a minoranze culturali può demarginalizzarle dalla loro condizione e facilitarne l’accesso al diritto di denunciare i loro persecutori e di trovare protezione. In questo senso viene affrontata l’analisi del rischio incontrato da donne straniere vittime di violenza domestica, il cui permesso di soggiorno è legato a quello del marito o del convivente, di cadere nella trappola della cd.subordinazione intersezionale, dato dall’impatto simultaneo di una politica anti-immigrazionista e dalla violenza inferta dai partner. Da un altro punto di vista, il metodo intersezionale sarà applicato nella disamina della normativa e giurisprudenza sulla richiesta di protezione internazionale, evidenziando la violenza domestica come una forma di discriminazione di genere e allo stesso tempo rilevando come criteri di valutazione delle domande di asilo siano spesso improntati a standard “maschili”o “occidentalmente femminili”. L’ultima parte di questo articolo si sofferma sulla riluttanza riscontrabile in alcuni casi da parte delle autoritàeuropee nel perseguire gli autori di violenza domestica quando la vittima èuna donna straniera o appartiene a una minoranza culturale.

Being a woman and at the same time being from a non-European cultural context or belonging to a minority makes one more vulnerable to being a victim of domestic violence. Taking, as a reference, the study of KimberlèCrenshaw on female African American victims of domestic abuse, this research aims to demonstrate how the intersectional perspective applied to cases of female migrant or minority victims of domestic violence can de-marginalize their access to the right to report their persecutors and to find protection. In fact, one aspect of the issue dealt with in this research concerns the risk for female migrant victims of domestic violence whose permit of stay is linked to the one of their husband to fall into an intersectional subordination trap, created by the simultaneous impact of an anti-immigration policy and spouse abuses. From the perspective of an asylum seeker’sclaim, intersectionality is a useful approach to domestic violence instead of using gender discrimination moving from a “male-standard assessment”and a “western-woman standard assessment”of asylum claims. The last part of the article points out the reluctance of the European authorities to accept domestic violence reports when the victim is a migrant or minority woman.

Sommario

1. Introduction –2. Domestic violence implications on residence status: developments ascertained in Europe thanks to the implementation of the Council of Europe Convention on preventing and combating violence against women and domestic violence (a.k.a. Istanbul Convention) –3. The need for an intersectional approach in evaluating female asylum seekers application based on a domestic violence claim as a form of gender persecution –4. The reluctance of the EU State authorities to intervene in the private sphere in cases of domestic violence denounced by migrant, refugee or minority women as an intersectional discriminatory conduct –5. Conclusion

Un análisis de las nociones de autonomía y dignidad subyacentes a la opinión consultiva OC-24/17 de la Corte Interamericana de Derechos Humanos a la luz de la filosofía del derecho y el derecho internacional comparado

Fabio Enrique Pulido Ortiz, Nicolás Carrillo-Santarelli

Universidad de La Sabana, Colombia

(Contributo pubblicato on line first, sottoposto a referaggio a doppio cieco)

Abstract

Nel contributo, gli autori evidenziano due questioni filosofiche emergenti dalle argomentazioni contenute nel parere consultivo OC-24/17 della Corte interamericana dei diritti umani. In primo luogo, la Corte confonde il concetto di autonomia come condizione astratta della dignità umana con quello di autonomia come diritto di libertà. Secondariamente, gli autori criticano l’argomento della Corte secondo cui l’autonomia personale è basata sulla capacità individuale di essere legislatori di sé stessi.

In this paper, the authors highlight two philosophical problems in the Advisory Opinion OC-24/17 argumentation. First, they show the Inter American Court of Human Rights confuses the meaning of autonomy -as a conceptual condition of human dignity- with the meaning of autonomy as a specific right -the right to freedom. Secondly, the authors criticize the fact that the Inter American Court of Human Rights assumes (without giving sufficient satisfactory reasons) that the right to personal autonomy is based solely on the individual capacity of human beings to be self-legislators.

Sommario

1. La incidencia de las posturas filosóficas en pronunciamientos judiciales como la opinión consultiva OC-24/17 de la Corte Interamericana de Derechos Humanos. 2. La noción de dignidad manejada por la Corte Interamericana de Derechos Humanos. 3. La autonomía como fundamento de los derechos humanos. 4. La autonomía como auto-legislación. 5. Conclusiones

Sulla tutela penale della reputazione della collettività omosessuale

Antonella Madeo

Ricercatrice di Diritto penale, Università degli Studi di Genova

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco, pubblicato online first, destinato a GenIUS 2019-1)

Abstract

La sentenza del Gup di Torino appare degna di nota per il fatto di riconoscere, attraverso il delitto di diffamazione, tutela penale alla reputazione di un’ampia categoria di soggetti contro dichiarazioni denigratorie, tracciando una sottile linea di demarcazione tra un soggetto collettivo individuabile – il movimento LGBT – e una collettività indistinta – quella omosessuale –, fondata sulla presenza nel primo e sulla mancanza nella seconda di un’organizzazione. La distinzione, peraltro, appare labile nel caso in esame, in quanto il soggetto collettivo ha una dimensione molto estesa. La forzata applicazione del delitto di diffamazione mira a sopperire al vuoto di tutela, riscontrabile nel nostro ordinamento penale, nei confronti della comunità LGBT contro comportamenti discriminatori basati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere.

The GUP of Turin Judgement is remarkable because it gives criminal protection, through the crime of libel, to the honour of a large group of people against disparaging statements, drawing a thin line between an identifiable collective subject – LGBT movement – and an indistinct collectivity – homosexual one –, based on the presence in the first and the on the absence in the second of an organization. The distinction appears fleeting in the commented case, because the collective subject has a very large extension. The forced application of criminal libel aims to make up for the protection vacuum in Italian criminal law to LGBT community against discrimination based on sexual orientation or gender identity.

Sommario

Il caso. – 2. Le questioni giuridiche: a) il bene giuridico tutelato dalla diffamazione. – 3. Segue: b) Il titolare del diritto alla reputazione. – 4. Segue: c) la determinatezza del soggetto passivo, anche collettivo. – 5. L’irrilevanza penale delle dichiarazioni denigratorie rivolte ad una collettività indistinta. – 6. – Il vuoto di tutela penale per la comunità LGBT contro comportamenti discriminatori. 7. – Conclusioni

Cognome comune e furto di identità: il fatto non sussiste. Commento a Corte Costituzionale, sentenza del 9 ottobre 2018, n. 212

Giacomo Viggiani

Ricercatore di Filosofia del Diritto, Università degli Studi di Brescia

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco, pubblicato online first, destinato a GenIUS 2019-1)

Abstract

Il contributo si propone di ricostruire la travagliata vicenda del cognome comune dell’unione civile dall’entrata in vigore della L. 20 maggio 2016, n. 76 fino alla recente sentenza della Corte Costituzionale. In particolare, si offrirà una riflessione sull’ordinanza di rimessione del Tribunale di Ravenna, l’atto di intervento dell’Avvocatura di Stato e, infine, sulla decisione stessa della Corte Costituzionale.

The paper aims at retracing the trouble sequence of events of the common surname of the civil union from the enactment of the law of the 20th May 2016, n. 76 to the recent ruling of the Constitutional Court. In particular, the reflection will focus on the Court of Ravenna’s referral, the act of intervention by the State Attorney and, finally, on the decision itself of the Constitutional Court.

Sommario

1. Premessa – 2.L’ordinanza di rimessione – 3. L’atto di intervento dell’Avvocatura di Stato – 4. Furto d’identità: il fatto non sussiste – 5. Roma locuta, causa finita?